Un po’ di storia

Il Rattus norvegicus, conosciuto anche come brown rat, pantegana, surmolotto, ratto delle chiaviche o ratto grigio, è originario dell’Asia, dove era inizialmente diffuso prevalentemente in Mongolia e nella Cina settentrionale.

Si diffonde in Europa intorno al 1700 viaggiando su navi da carico e grazie alla sua maggiore competitività soppianta il già presente Rattus rattus, o ratto nero.

Ma allora, perchè “norvegicus”?

Nel 1769 il naturalista John Berkenhout racconta nel suo libro “Profili della storia naturale della Gran Bretagna” l’arrivo dei ratti in Inghilterra attraverso navi di provenienza norvegese ed erroneamente attribuisce ai “brown rats” il nome di “ratti norvegesi” credendo appunto avessero questa origine.

L’antica storia dell’allevamento dei ratti in Giappone

I primi riscontri concreti di ratti allevati come animali da compagnia si hanno in Giappone, dove durante il periodo Edo (1603 – 1868) iniziò a diffondersi l’abitudine di avere ratti e topi come animali domestici e di selezionarli per ottenere colorazioni o marking particolari.

Durante il XVIII secolo divenne così comune averli che vennero pubblicati due libri su come allevarli: il primo è intitolato “Yoso-tama-no-kakehashi” ed è stato pubblicato nel 1775; il secondo invece si intitola “Chinganso-date-gusa”, ed è stato pubblicato nel 1789.

Yoso-tama-no-kakehashi” (traducibile come “un ponte per ottenere nuovi meravigliosi nezumi”) fu pubblicato ad Osaka dal proprietario di “Shunpo-do” ed è composto di due volumi di 34 e 14 pagine rispettivamente. Ha anche 14 bellissime illustrazioni in stile di fumetto, accompagnate talvolta da una poesia Kyōka come didascalia. 

Si tratta di un vero manuale che racconta tutto quello che c’è da sapere per allevare ratti e creare nuove varietà, nuovi “gioielli”. Inizia raccontando antiche storie cinesi e giapponesi sui ratti e parlando delle diverse “classi” di nezumi, le varietà più apprezzate e il modo di allevarli. Tuttavia, anche se si possono trovare corrispondenze con varietà oggi esistenti, non sappiamo se qualcuno degli attuali ratti da compagnia sia un discendente delle linee descritte nel libro, visto che i primi ratti di cui si possa tracciare la genealogia risalgono al 1906, quando fu creato il primo stock di ratti albini all’istituto Winstar.

Anche l’allevamento viene trattato nei dettagli, compreso l’elenco dei negozi di Osaka dove si possono comprare e vendere i ratti. Il testo recita:

“è bene usare una grande gabbia per allevare i ratti. La larghezza dovrebbe essere 36-40 cm, l’altezza 42-45 cm e la profondità 24-27 cm. Dovrebbe essere chiusa su tre lati da piastre. Il davanti e il fondo dovrebbero essere fatte con una rete metallica e una vasca di raccolta. Sotto mettete un cassetto per la pulizia. Mettete un cesto di paglia appeso o una scatola di legno dentro la gabbia. […] Mettete il cibo dentro un bambù tagliato e acqua in una piccola ciotola. […] Come cibo, date riso bianco, riso in grani o tortini di riso […] Non ci sono problemi nel dare anche pesce fresco o verdure fresche. Se consumano troppa varietà di pesce, la pelliccia perderà lucentezza. Se sono nutriti con fagioli di soia, il colore della pelliccia migliorerà. […]  Per ottenere cuccioli, è meglio se il maschio è giovane e la femmina ha raggiunto la maturità. I cuccioli nascono circa 20 giorni dopo l’accoppiamento […] dopo 17 giorni gli occhi si aprono e cresce la pelliccia. […] In caso che manchi la madre e debbano essere presi dal nido, scaldateli spesso, e date loro caramello sciolto in acqua. Va bene anche dare latte umano. In questi casi, nutriteli finché non avranno aperto gli occhi.”   

Il manuale scritto da Jyo-En-Shi nel 1787, “Chinganso-date-gusa”, traducibile in “Sull’allevamento di peculiari varietà di topo”, contiene riferimenti al precedente. E’ un piccolo libro di sole 14 pagine, che inizia con un capitolo sulle origini del ratto albino, proveniente dalla Cina, e contiene anch’esso varie descrizioni sulle tecniche di allevamento e riproduzione. La parte più interessante è però quella in cui descrive le varietà dei ratti allora conosciute e i modi ottenerle. Per quanto inaccurato da un punto di vista della genetica moderna, è evidente che i casi esposti nascono da esperimenti reali e vale la pena far conoscere questo testo perché si tratta di una delle più antiche memorie della selezione di nuove linee di topi e ratti. 

I ratti durante il regno della Regina Vittoria

In Europa è in epoca vittoriana che i ratti iniziano a farsi strada tra gli animali d’affezione. In questo periodo l’Inghilterra dominava tutti i mari e commerciava su tutte le terre e ovunque ci fosse un’attività, là c’erano anche loro: i ratti. Tra le casse del porto piene di spezie pregiate, nei magazzini stracolmi di grano o nelle grandi cucine dove le massaie indaffarate preparavano il pane, i ratti crescevano di numero sempre più, a tal punto che la regina Vittoria si trovò a dover assumere i cosiddetti “Rat Catchers”, ovvero cacciatori di ratti, per salvare la sua gente dal sempre crescente numero di roditori.

I ratti erano talmente mal visti che in questo periodo emerse un nuovo tipo di intrattenimento: il rat baiting (dal’inglese rat “ratto” e bait “esca”), di cui Jimmy Shaw fu tra i principali promotori.

Un gran numero di ratti catturati dai Rat catchers veniva liberato in un recinto detto rat-pit (“fossa dei ratti”), all’interno del quale vi era anche un cane, generalmente un terrier. Il pubblico assisteva alla caccia e piazzava scommesse sul numero di ratti che il cane sarebbe riuscito a uccidere in un determinato lasso di tempo. 

All’apice della sua popolarità intorno agli anni 40 dell’Ottocento, a Londra erano presenti oltre 40 recinti per il rat baiting.

I Rat catchers dunque facevano soldi non solo catturando i ratti ed eliminandoli, ma anche vendendoli agli organizzatori dei rat-baiting. 

Jack Black

Tra chi riuscì ad affermarsi in questa professione troviamo senza dubbio Jack Black, soprannominato the Queen Victoria’s Royal Rat catcher.

Jack Black era molto conosciuto non solo per la sua capacità di catturare e quindi contenere il numero di ratti in circolazione, ma perché fu tra i primi ad allevare questi animali come domestici. Si accorse infatti che una ratta albina aveva catturato l’attenzione delle nobili donne inglesi; decise quindi di iniziare a risparmiare i ratti con colorazioni particolari per farli accoppiare tra loro e per vendere i cuccioli come animali da compagnia. Molte furono le signore benestanti dell’alta società vittoriana che giravano accompagnate dai loro ratti domestici e la stessa Regina Vittoria li accolse con sè.

Potete approfondire la storia di Jack Black dando un’occhiata al libro London Labour and the London Poor, di Henry Mayhew, che ha dedicato un intero capitolo all’Acchiapparatti di Sua Maestà.

Mary Douglas

Col passare del tempo i ratti diventarono più accettati e diffusi come animali domestici e questo anche grazie al lavoro di Miss Mary Douglas, un’eccentrica signora inglese vissuta fra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento, che dedicò gran parte della sua vita a diffondere i ratti come animali domestici; per questo motivo si è guadagnata tra gli appassionati il titolo di “madre dei ratti domestici”.

Nasce a Lostwhitiel, in Cornovaglia, intorno al 1856 e si appassiona fin da piccola agli animali, scoprendo ben presto i ratti, probabilmente catturando e successivamente addomesticando quelli selvatici.

Crescendo si distingue dalle signore del tempo per la sua originalità: di aspetto non particolarmente femminile, veniva vista spesso alla guida di un calesse nella sua città natale, in abiti maschili e intenta a fumare la sua pipa in terracotta. 

Miss Douglas era una vera appassionata di ratti, che erano visti come una bizzarria a quel tempo, e per tutta la vita lavorò incessantemente per promuoverli come grandiosi animali da compagnia e da esposizione, incoraggiando molti amatori ad allevarli.

Furono determinanti per il raggiungimento del suo scopo i numerosi articoli da lei scritti per la rivista Fur&Feather e la richiesta che fece nel 1900 a Walter Maxley – l’allora presidente del neonato National Mouse Club, fondato nel 1895 – a cui chiese che venisse aggiunta alle esposizioni organizzate dal Club una sezione dedicata ai ratti.

In seguito a questa richiesta, nell’ottobre del 1901, ebbe luogo il primo concorso aperto ai ratti, durante la fiera cittadina di Aylesbury. 

Nel 1913 la popolarità dei ratti era cresciuta a tal punto che il Club modificò il proprio nome in National Mouse and Rat Club: Mary ne sarà Segretario e in seguito Presidente.

La Prima Guerra Mondiale fu un duro colpo per l’allevamento e la diffusione del ratto da compagnia e in quel periodo anche la salute di Miss Douglas si deteriorò. Quando morì, nel 1921, la fama del ratto domestico scemò e purtroppo anche la sezione del Club dedicata ai ratti non le sopravvisse a lungo. Si dovrà aspettare il 1976 perché Geoff Izzard e Joan Pearce fondino un’associazione dedicata esclusivamente ai ratti, la National Fancy Rat Society, tutt’oggi in attività.

Al giorno d’oggi i ratti domestici presentano un gran numero di varietà in termini di colore del pelo, marking, ma anche tipologia di pelo e orecchie. Nel corso degli anni sono stati selezionati perfino ratti nudi o manx (senza coda), ma i club come la NFRS bandiscono gli allevatori che portano avanti queste varietà, che sono dannose per la salute degli animali.

Bibliografia:

An Eighteenth Century Japanese Guide-Book on Mouse Breeding, Mitosi Tokuda, The Journal of Heredity, december 1935

Yoso-Tama-No-Kakehashi: The First Japanese Guidebook on Raising Rats, Takashi Kuramoto, Experimental Animals, 2011

London Labour and the London Poor, by Henry Mayhew

http://www.douglashistory.co.uk/history/families/earl_of_morton.htm

Un sincero ringraziamento alle segreterie del NMC e del NFRS per la loro collaborazione, ma in particolar modo al gentilissimo Nick Mays che non solo ha raccontato la storia di Miss Mary Douglas e del ratto da compagnia nel suo libro “The Proper Care of Fancy Rats” (TFH, 1993), ma ha anche avuto la pazienza di rispondere a tutte le nostre domande.

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